PRATO. In questo ultimo mezzo secolo, nonostante guerre mondiali non ne siano scoppiate (e infatti la popolazione è passata da 2 miliardi a circa 8; la povertà diffusa non è bastata a fermare il formicaio umano), il mondo si è trasformato come se invece di cinquant’anni ne fossero trascorsi mille. La grande abbuffata, memorabile, insolente e preveggente pellicola del 1973, resta una meravigliosa decadente intuizione culturale alla quale il regista Michele Sinisi e il drammaturgo Francesco Maria Asselta, che si sono messi all’anima di riadattarla per il teatro, non sono riusciti a prolungarne l’esistenza, provando a trasformarla in un altro capo d’accusa. Peccato, perché i presupposti, senza rinverdire i fasti mnemonici delle interpretazioni di Marcello Mastroianni e Ugo Tognazzi (la coppia francese non la citiamo, di proposito), ci sarebbero potuti essere, soprattutto tenendo nella debita considerazione che Elsinor e Teatro Metastasio, che hanno prodotto lo spettacolo in scena al Fabbricone di Prato (si replica oggi, alle 20 e domani, domenica 20 giugno, alle 18), a spese scenografiche non han badato (una videoinstallazione, una tazza del cesso che erutta lapilli, lava, bamba e rifiuti tossici, una Vespa Piaggio simbolo dell’unisex e tre armadietti illuminati adattabili a privé dei peggior night) e anche per assoldare lo staff attoriale, rischi ne han corsi pochi.

I quattro crapuloni di Marco Ferreri (Stefano Braschi, Ninni Bruschetta, Gianni D’Addario e Donato Paternoster) contemplano con estrema dignità il nichilismo del cast cinematografico, così come le escort (Sara Drago, Marisa Grimaldo, e Stefania Medri) e la maestrina (Adele Tirante), dotata di un considerevole diaframma, incarnano, con le dovute contestualizzazioni, l’ala femminile e consolatoria di questo suicidio alimentare di massa. Espletate le formalità di nomi, cognomi, indirizzi e codici fiscali, ai quali teniamo per un senso di sacro rispetto che portiamo a chi produce arte, non possiamo, per lo stesso identico senso di correttezza, esentarci dallo scrivere che di questa grande abbuffata se ne poteva fare tranquillamente a meno. Troppi strepiti, troppa confusione e poi, un pudico e contraddittorio utilizzo del nudo, dell’erotismo della peggior fatta, con cazzi inspiegabilmente mosci al cospetto di mandragole affamate che non possono non eccitare. Se si sguaina la spada, occorre usarla e trafiggere (non ci riferiamo al pisello, ma al coraggio), altrimenti è meglio tenerla nel fodero e mostrarla come suppellettile. Il terzo millennio, che somiglia, in peggio, maledettamente al secondo, non ha accompagnato la supersonica evoluzione tecnica, scientifica, informatica con un ingentilimento umano; le grandi abbuffate sono state sostituite da irritanti riti vegani; a colesteroli impazziti e fegati spappolati sono subentrati apparenze e anoressie. Per fortuna, c’è ancora il teatro, quel teatro che serve, indispensabilmente, a ricordarci da dove si sia venuti e a indicarci la strada di dove dovremmo andare. A noi, succede spesso. Ieri sera, no, ma sarà dipeso che davanti al Fabbricone, poco prima dell’inizio della rappresentazione, siano sfilate le auto d’epoca per una tappa delle Mille Miglia, con piloti e navigatori bardati di tutto punto e due ali di folla ad applaudirli. Ed è subito sera.

Pin It