PISTOIA. Non ha neanche un nome. E non si capisce nemmeno quanti anni abbia. La vita non le ha insegnato molto e quel poco che ha imparato, non sempre è riuscita a metterlo in pratica. Se fosse dipeso soltanto da lei, però, la mattina si sarebbe alzata sempre di buon’ora; al mercato si trova la frutta migliore e sul mare ci si posiziona vicino alla battigia. La sua esistenza è un rimpianto soffuso, a malapena accennato. Si è accontentata di avere un marito, Sergio, che in definitiva, a parte non averla mai portata nelle Marche, non le ha mai fatto mancare nulla, soprattutto perché è riuscito a non farle desiderare niente. Francesca Sarteanesi, dopo aver lasciato Gli Omini e tutto quello che le girava intorno, ha deciso di ripresentarsi sul palcoscenico da sola, senza scenografia alcuna, senza nemmeno una sedia, in un colloquio triste e violento, senza via d’uscita, monniano, ma ingentilito da una rassegnazione che ne esalta la surrealtà attoriale. È lì, da sola, ma solo per le prime battute. Poi si dissolve, uscendo di scena, senza che gli spettatori se ne accorgano, lasciando a tu per tu con il pubblico proprio Sergio, che non c’è, non si vede, ma si sente, si è sentito e si sentirà. Per sempre.

Di Francesca Sarteanesi, ideatrice e scrittrice di questa necessità esistenziale, prima che teatrale, che si è avvalsa della collaborazione di Tommaso Cheli e la sartoria di Rebecca Ihle, prodotto da Kronoteatro e Gli Scarti, con il sostegno di ArmuniaFestival Inequilibrio -, sul palco spoglio e anonimo, resta il suo corpo, muto, il suo collo modiglianeo, quella meravigliosa psicotica nevrosi di inumidirsi, sistematicamente, le labbra superiori e la nenia della sua voce, naturalmente toscana, parecchio teatrale, che rincalza e rimbalza, sul pubblico, che non sa se nelle corde della protagonista ci sia la voglia di far ridere o quella di far piangere, sul viso pietrificato di suo marito, su quello avido e impertinente delle sue amiche, su quello indisponente, fino all’indignazione, della figlia di una coppia di conoscenti, su quello silente dei suoceri, che hanno provveduto sempre a tutto, soprattutto a distruggerla, lasciando che se ne accorgesse solo quando ormai non c’era più nulla da fare, personaggi che si accalcano sulla scena, volutamente e strategicamente disadorna, dove ognuno, in cuor suo, rivendica un primato, non foss’altro quello dell’anonimato. Al suo Sergio, la moglie, che gli riconosce l’arguzia e la sagacia di scegliere il pesce migliore, al ristorante e altre piccole impercettibili furbizie che lo trasformano in un invisibile eroe omerico, ma anche un po’ hollywodiano, rimprovera solo piccoli dettagli e quelle lunghe immotivate assenze, certificate e giustificate da scaltre fughe statiche, dunque irreali e incolpevoli, inezie che non possono, e non vogliono certo, inficiare una vita intera vissuta insieme, nella quale non è successo mai nulla, per fortuna, per disgrazia. Il monologo di Francesca Sarteanesi è un manifesto povero di nichilismo sadico, dove si sottintende tutto: la vita e la morte, le bestemmie e le preghiere, il dolore e i desideri, la paura, ma soprattutto l’assenza, quella del tempo e delle sue coordinate, come i figli, i genitori, gli amici. Un colloquio/monologo vuoto, intriso di tante piccole nostalgiche e rammaricate rivelazioni proustiane, nelle quali la protagonista se le suona, se le canta e se le balla, laceranti verità quotidiane che non possono non prendere in prestito, talvolta, l’ironia minore, sorrisi melanconici strappati a luoghi così comuni che si sono del tutto lacerati le vesti per poi rivestirsi e ripresentarsi, intonsi, ad un altro sbaraglio. Sergio, che sarà replicato domani, venerdì 2 luglio, nella Sala Danesin di Rosignano Marittimo, abbiamo avuto il privilegio di vederlo nell’ultima sua prova aperta al Funaro di Pistoia, prima del debutto nazionale avvenuto stasera in terra livornese. Al cospetto della mattatrice, sulle poltroncine dell’associazione culturale di Pistoia, con noi c’erano Gabriele Acerboni, fotografo professionista e fotografo ufficiale dell’attrice (sua la foto) e Lisa Cantini, una delle quattro dell’Ave Funaro Maria. Al termine, emozionati e felici, abbiamo parlato un po’ dello spettacolo, dividendoci in quattro la terza Moretti; avremmo potuto cenare insieme, ne sarebbe valsa la pena, ma non ci siamo trovati d’accordo sulla pizzeria. Alla prossima, quando ci sarà anche Sergio.

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