PISTOIA. È possibile che in una casa dove regna un maggiordomo, che sta alfabetizzando (anche nel suo ultimo giorno di servizio) il suo giovane successore, possa trovarsi, nel salone di casa, un quotidiano di venti anni prima? Certo, gli anziani Zancopè e Mistenghi, (Massimo Dapporto e Antonello Fassari) ex compagni al Liceo Badaloni, la notte prima sono stati alla festa della classe ed entrambi, ubriachi fino al midollo, non riescono a ricordare nulla di cosa sia successo la sera precedente, tanto da stentare a riconoscersi la mattina, al risveglio, che avviene, tra l’altro, per chissà quale strano meccanismo, nel letto della casa del primo, dove han trascorso, vestiti, la notte. Gli equivoci diventano classici quando, non riuscendo a spiegarsi per quale motivo, entrambi, abbiano le tasche piene di noccioli di frutti e soprattutto le mani nere sporche di carbone, su quel giornale, lasciano incustodito per duecentoquaranta mesi, leggono la notizia del barbaro assassinio, avvenuto la sera prima, in via dell’Orsina, a due passi dall’abitazione di Zancopè, di una giovane carbonaia. I presupposti per mettere in scena L’affaire de la rue de Lourcine, di Eugène Labiche, affidandolo alla regia di Andrée Ruth Shammah, che lo trasforma, adattandolo di un secolo, ne Il delitto di via dell’Orsina, ci sono tutti, con un ritardo attoriale imperdonabile però, difficile da digerire.

Strano, perché l’idea nasce per festeggiare il mezzo secolo del Franco Parenti, che non a caso produce, con la Fondazione Teatro della Toscana, la rappresentazione. Ma non si ride mai, nemmeno per allentare un pathos che non riesce a emergere. E nemmeno i dettagli, che dovrebbero avere la facoltà di impreziosire il testo (l’affermazione nel mondo del lavoro di Zancopè, a scuola soprannominato somaro; quella assai più modesta di Mistenghi, cuoco disoccupato, che negli anni del liceo primeggiava in latino; l’assillante apparente presenza di Susanna Marcomeni, moglie di Zancopè), riescono a farlo decollare. Ricordiamo perfettamente d’aver scritto, in altre recensioni, come dopo due anni e passa di una follia impreventivabile, il teatro a caccia vitale di nuovi spettatori, che devono assorbire il traumatico distacco dei vecchi abbonati, morti, impauriti e abituati a farne a meno, del Teatro, abbia il dovere di studiare ed escogitare nuove attenzioni. Tra queste, ripassare i nobili trascorsi, potrebbe essere una delle carte vincenti, ma bisogna farlo con estreme coraggio e cautela; anzi, più coraggio che cautela, perché altrimenti, quel mondo di mezzo, perfettamente incastonato tra le giovani leve e i vecchi affezionati, massimamente popolato e assai avaramente abituato agli spettacoli, non si riesce a conquistare, specialmente se la ricetta venga affidata a due personaggi tanto cari alla fiction televisiva, una delle principali inquisite per il tentato omicidio del Teatro.

 

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