PISTOIA. Far ridere, è affar serio. Riuscirci per un’ora e mezzo, quasi ininterrottamente, è proibitivo. È così difficile, che alla fine, l’illusionista Maria Cassi, onecatshow del suo Maria… animale da compagnia, ha deciso che per ringraziare il pubblico pistoiese del Funaro, che l’ha incessantemente omaggiata a suon di risate e battimani per tutta la rappresentazione, fosse giusto piangere. In quelle lacrime, la liberazione di un bloccoumanocosmico che sembra finalmente alle spalle e un dolore, incommensurabile e inconsolabile, con il quale ha dovuto fare i conti proprio recentemente e dal quale non si separerà mai. Del resto, That’s life, opus maximum di Frank Sinatra, di cui anche la sua reincarnazione canadese, Michael Bublé, ha voluto allungarne la leggenda, è il motivo che apre e chiude il sipario sullo spettacolo. Che nasce da un pretesto perdonabile, Viaggio intorno alla mia camera, manoscritto di Xavier de Maistre, ormai impolverato da oltre due secoli di storia e figlio di una condanna, di quaranta giorni, agli arresti domiciliari. Quando i muscoli facciali sono così allenati da potersi deformare plasticamente, quando con quella voce fiorentina, scusaci, Maria, fiesolana, che sembra una fioritura irriverente sulle origini della purezza della lingua italiana e invece è lo slang abituale da piazza San Marco a Settignano, quando le mani, anziché accompagnare un monologo irriverente sembrano essere quelle di un direttore d’orchestra, beh, sappiate che ci troviamo al cospetto di un’animalessa da palcoscenico che da trent’anni porta in giro i suoi personaggi e lei stessa in tutto il Mondo.

Senza filtri, senza simultanei, senza adattamenti lessicali, labiali, scenici in onore del teatro che la ospita; anche perché, ohiohi, il lamento polifonico e polivalente del commento universale a qualsiasi accadimento dei fiorentini, come si potrebbe tradurre? Maria Cassi è Così è, se volete, un clown al servizio del buonumore, che fonde e confonde nei suoi interminabili esilaranti spettacoli tutto il proprio background, quello che l’accompagna da quando era la macchietta scolastica per i compagni d’aula e l’enfant prodige di chi, con il trascorrere degli anni, ha intravisto, vedendoci nitidamente, nelle sue esternazioni goliardiche, i contorni di una donna della rivista. Affabulatrice instancabile, seppur padrona di più lingue, continua a dare al suo diaframma natale il fascino della comunicazione. Lo fa entrando nel corpo di un tossico, in quello di due comari pettegole, ma anche nelle membra di una volgare pazza tabagista. Ricorda, mostruosamente, Jacque Tati, anche se in versione sonorizzata; Pierre Byland, seppur non vesta gli abiti ufficiali della scuola circense, suoi maestri dichiarati, ma anche, con tutte le debite proporzioni, soprattutto sferiche, Aldo Fabrizi, nonostante di ossigeno fonico, lei, ne abbia da vendere. Una donna felice, realizzata, che ha trasformato, nel segno dell’amore, della famiglia, della società in iperbolica trasformazione, il suo contingente nei suoi copioni, scritti tanto tempo fa e puntualmente rivisitati. Non ha perso occasione di dedicare lo spettacolo al marito, scomparso recentemente, al gatto/colbacco, compagno fedele, silenzioso e ingombrante e non ha nemmeno ignorato una guerra, una delle tante in corso d’opera, ma che fa più paura, perché è vicina e perché i bimbi che la stanno subendo somigliano parecchio ai nostri, che stanno mimando, ancora una volta, il nostro già molto precario equilibrio psichico. Apparteniamo a quella generazione che ha sloganizzato le risate che seppelliranno il potere; le risate, oggi, invece, e quelle suscitate da Maria Cassi ne sono un esempio indiscutibile, servono per sopravvivere.

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