QUANDO a Pistoia aprì la redazione del quotidiano Il Tirreno (1989), il Festival Blues era nel pieno della propria bellezza. E da collaboratore in cerca di contratto, girovagavo per la città a caccia di commenti, con un fotografo alle spalle (prima Emiliano Liuzzi, poi Lorenzo Gori e dopo Gabriele Acerboni), che immortalavano, nei pomeriggi delle inchiestine, le sagome facciali degli intervistati (ai quali chiedevo nome e cognome, altrimenti: no generalità? No party!), prima di eternizzare, la notte, gli artisti sul palco di piazza del Duomo. Erano molti quelli che si lamentavano della manifestazione, per svariati motivi, uno più ridicolo dell’altro, ma quando arrivavo con block notes e penna e uno dei fotoreporter sopracitati al seguito, anche il più incallito e farneticante detrattore del Festival iniziava a tentennare, difendendo con minor vigore il proprio vantato purismo blues o sminuendo sensibilmente la propria xenofobia misoneista e il suo incomprensibile astio nei confronti dell’evento si scioglieva come neve al sole.
Il Festival Blues c’è ancora, per fortuna. Ma anche gli stolti, ahime, ai quali si sono aggiunti, in numero e modo spropositato, soprattutto i demagoghi, che sono quei soggetti che cavalcano ogni circostanza, Festival compreso, ai fini, tragicomici, del proprio orticello e che si confondono, camaleonticamente, tanto con i vecchi detrattori, oggi vigorosi alfieri dell’utilità del Festival di Pistoia, quanto con i nuovi fautori, acerrimi nemici, ieri, dell’invasione del popolo del Blues. Questi nuovi soggetti, che trent’anni fa, non rilasciando le generalità, restavano in ombra e oggi, in un regime moderatamente serio, sarebbero considerati poco più che merce, hanno invece da tempo ragion d’essere, d’esistere e di parlare addirittura perché sulla scena sociale, magistralmente diretta da arguti strateghi, sono piombate le piattaforme e chiunque, dal proprio telefonino o dal pc di casa, oltre che far sapere al mondo dove e cosa stia mangiando, può anche esternare opinioni, pontificare giudizi ed emettere sentenze. Una tragedia senza fine, che cesserà di creare lutti quando le battaglie si torneranno a combattere con le fionde.