PISTOIA. Aria di festa, seppur orfana del padrone di casa e di ogni suo delegato, ieri a Pistoia nella Sala Maggiore del Palazzo Comunale, alla consegna dei premi nazionali per la cultura della legalità Antonino Caponnetto; e non sarebbe potuto essere altrimenti. Sorrideva Sonia Alfano, una combattente di vecchia matrice, che ha ereditato da suo padre giornalista, morto ammazzato nel 1993 dalla Mafia, il valore della verità; così come era visibilmente felice Ilaria Cucchi la sorella di Stefano (inutile che vi ricordi chi siano: lo sanno tutti), morto ammazzato nel 2009 da alcuni Carabinieri che non avevano chiaro il ruolo e la forza della divisa che indossavano: è stata la sua tenacia a infrangere il muro omertoso che avrebbe voluto coprire l’infedeltà di alcuni agenti; felicissimo, senza mezzi termini, Fabio Anselmo, l’avvocato del caso Cucchi e di altri sui quali è opportuno fare quanto prima chiarezza, che si è preso così a cuore le indagini sulla morte di Stefano tanto da diventare, nel corso dei dibattimenti, il compagno della vita di Ilaria. C’erano anche altri due premiati, ieri, in Sala Maggiore, ma loro non sorridevano; loro, forse, non sorrideranno più. Si tratta di Riccardo Casamassima e sua moglie Maria Rosati, Carabinieri, con C maiuscola, che non hanno saputo e soprattutto voluto tacere su quello che hanno visto nella Caserma di Roma una sera di ottobre di dieci anni fa. In un Paese normale, la loro denuncia si sarebbe ascritta al semplice ed elementare dovere civile, prima che giuridico e militare e probabilmente, la loro rettitudine, avrebbe avuto ben altro riconoscimento. E invece, da quando hanno denunciato alcuni dei loro colleghi, la loro vita si è trasformata in un Inferno, con la I maiuscola. Perché delle targhe di onestà, coraggio, rettitudine di cui vanno facendo incetta ovunque, Riccardo e Maria ne avrebbero fatto tanto volentieri a meno.

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