di Luigi Calabrò
ROMA. La fisica quantistica ci insegna che, se non c'è nessuno che guarda, la realtà non esiste. Quindi la natura, per esistere, ha bisogno dell'uomo che la guarda. In questi mesi il tempo si è azzerato, abbiamo perso il controllo della nostra vita e siamo diventati un tutt'uno con l'umanità che ci ha preceduto, bloccati in un frame a porci domande che avevamo accantonato. Noi che temevamo i virus nel computer ce li siamo ritrovati in gola e nel naso. Intanto abbiamo capito che non è vero che il tifoso va allo stadio per scaricare le frustrazioni, come dicono gli psicologi pop, ma è l'attesa della partita che carica il tifoso a molla. Poi abbiamo capito che gli amici non sono solo quelli con cui spararsi uno shottino, che la musica non è solo un pretesto per ballare, che la vita è troppo preziosa per spalmarla in un centro commerciale, che se pretendo un dentista competente, pretendo soprattutto un politico competente e che i soldi si fanno lavorando. Poi, potremmo sperare che i critici musicali facciano il loro mestiere studiando musica senza osannare l'ospite pagante (quando uscì Bohemian Rapsody dissero che era anacronistica e kitsch). Potremmo sperare di resettare tutto e capire che non basta urlare per essere un cantante e non basta parlare a macchinetta per essere un attore.
Potremmo sperare che certi sedicenti comici tornino ai loro più consoni siparietti. Potremmo accorgerci che è da dementi guardare gente chiusa in una casa a recitare copioni prestampati o gente che finge di litigare o di stare agli scherzi. Che è criminale speculare sui sogni dei ragazzi e costringerli in un circo che li distruggerà. Ma so già che tutto tornerà come prima. Solo mi auguro che questo periodo si trasformi in un tarlo a ricordarci come eravamo e chi eravamo nel bozzolo del virus.