FIRENZE. Ma noi, di loro, cosa ne sappiamo? Poco, pochissimo, quasi nulla. Loro, invece, di noi, san molto, quasi tutto. E nonostante questo, continuano ad accontentarsi di briciole, piccoli ritagli di tempo, sporadiche attenzioni. Quelle che talvolta, grazie a Versiliadanza, che tra le varie attività contempla anche quella di coinvolgere il gruppo di attori di Teatro come Differenza, con il totale coinvolgimento del Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze/Usl Toscana Centro, vengono concesse loro dal Teatro ufficiale, quello classico, serio, con tanto di poltroncine numerate, biglietti al foyer, riflettori sul palco, buio in sala, colonne sonore e, al termine di ogni singola rappresentazione, applausi, ma quelli veri, eh, che loro aspettano con incosciente impazienza, perché sanno, inconsapevolmente, di meritarli tutti, uno a uno. Anche stavolta, come già abbiamo avuto la fortuna con la precedente, è il Teatro Cantiere Florida di Firenze a ospitare lo spettacolo di questa Compagnia particolare (Giovanni Abbazzi, Michela Astronomi, Sona Baradaran, Lorenzo Bonifazi, Leonardo Brighella, Fabio Calonaci, Miche Ceri, Massimiliano Leone, Pierluigi Logli, Naeem Malik, Matteo Pucci, Antonella Sabatini, Lorenzo Sanesi e Loredana Stramaccia), tenuta in piedi, diretta e organizzata da uno staff sociosanitarioumano (Paolo Biribò, Francesca Sanità ed Elena Turchi, con la collaborazione di Samuele Mariotti e Andrea Maragliano) al quale, dopo aver scandito il battimano ai protagonisti, riserviamo un caloroso, sentito e doveroso ringraziamento. Lo spettacolo è CUORAMARANTO piccola cronaca della caduta e si ispira all’esistenzialismo beckettiano, riassunto in queste poche parole: Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio. E come riescono a cadere bene loro, quelli della Compagnia particolare, per poi, puntualmente, rialzarsi, a ben pochi altri è dato tale privilegio. Anzi, è proprio la loro caduta, vertiginosa, continua, inarrestabile, la loro forza, che potrebbe e dovrebbe diventare la nostra, noi ai quali la sorte ha riservato ben altri destini. Basterebbe tenerli un po’ più nella debita e umana considerazione, trasformando il loro muto, inspiegabile e inspiegato dolore nella nostra (ir)riconoscente rumorosa allegria.