SERAVEZZA (LU). Ho conosciuto Butch quando stavo a Chicago. Faceva il barbone di mestiere. Mi diceva sempre che esisteva la concorrenza anche tra barboni. La notte lo trovavo, spesso, disteso sempre nel solito posto che dormiva, o faceva le prove generali per morire. Solo anni e anni dopo sono riuscito a fargli un ritratto degno, e lui ora chissà dov'è. Ho trovato la disponibilità di esporre questa scultura in legno di platano nel duomo di Seravezza. Ovviamente al prete ho detto che si trattava un di Gesù Cristo deposto perché a loro piace troppo sentirselo dire. Ma questo è, e rimane, il ritratto del povero Butch. E ora dorme, dorme al Duomo! Ho poco altro da aggiungere, soprattutto perché quello che scriverò adesso io, dopo quello che ha scritto della sua manodopera Alessandro Gonfiantini, avrà solo la pretesa, ma perché gli voglio un bene dell’anima, di aiutarlo, una volta per tutte, a uscire dal guado e riprendere la strada. Non è la prima volta che scrivo di lui, e non sarà nemmeno l’ultima (almeno così mi auguro), vista la sua febbrile e prolifica creatività artistica. E io che pensavo che fosse solo un musicista, un gran bel musicista, Alessandro; un chitarrista eclettico, mai banale, disordinato e disordinante.
Poi, invece, la vita gli ha imposto di fermarsi, di colpo, a riflettere su ciò che non poteva capire, non capisce e non capirà mai: il suicidio del padre. È successo molti anni fa, ma solo diventando un uomo ha incontrato gli spettri di un’impossibile metabolizzazione e ha avuto grosse difficoltà a farci i conti, a sopportare una croce così difficilmente trasportabile. È caduto nel baratro e in più di un’occasione qualcuno è riuscito a riprenderlo per i capelli, che per fortuna non ha mai tagliato. Il peggio non è passato; il peggio non passerà mai, ma Alessandro Gonfiantini deve aver capito che nonostante la sua personale mostruosa e incalcolabile autostima, di fronte a quell’evento non può fare nulla, assolutamente nulla. Se non conviverci, approfittando delle scosse di adrenalina che il ricordo indelebile del padre, sistematicamente, gli ha dato, gli offre ora e continuerà a perseguitarlo. È di Butch, il barbone di Chicago che Alessandro dice e scrive di aver incontrato, il volto scolpito nel platano e che il prete di Seravezza, scambiandolo per un Gesù qualsiasi, ha deciso di mettere in mostra nella sua chiesa per tutto il mese di dicembre? Non ho conosciuto Butch, né conosco il prete di Seravezza, tanto meno Dio che facendosi uomo è diventato Gesù, ma conosco Alessandro e in quell’incavo di platano ho l’impressione di vedere, seppur lui non l’abbia detto, né scritto, proprio suo padre. Che ora, finalmente, dorme, dorme al Duomo.