di Alessandro Giovannelli
PORRETTA (BO). Non avevo dubbi: sarebbe stata, anche stavolta, una serata emozionante. Ho sempre amato James Carr. E, ieri sera, era in programma un omaggio al grande interprete di Coahoma, Mississippi (ma presto importato a Memphis), alla presenza del figlio più giovane, Vincent. Le attese, manco a dirlo, non sono state deluse. Non sapevo, però, che la serata avrebbe riservato un altro picco emotivo. E di che foggia. Con Killing Me Softly, Roberta Flack è tornata su questo pianeta a pochi mesi dalla sua scomparsa, per Porretta e per tutti gli amanti del soul di una notte d’Appennino. E per quella piccola, grande donna che ha saputo evocarla con la potenza della sua voce e la profondità della sua anima. Qualche minuto dopo, una Neither One of Us di Gladys Knight da brividi. Che dire? Partiamo, però, come si conviene ad un resoconto ordinato - ma io non amo l'ordine -, dal principio. Già dalla stazione - potremmo chiamarlo, quel lato di Porretta, Oltrereno -, si capisce che la più grande festa soul d'Europa è arrivata anche quest'anno. Ad annunciarla, oltre alla presenza del variopinto popolo del festival, un nugolo di bandiere a stelle e strisce - una, davvero gigantesca, all’accesso al Solomon Burke Bridge -, segno che, a pieno merito, Porretta e Memphis sono diventate sorelle. Già, questo è l’anno del gemellaggio tra la città sulle rive del Mississippi e la nostra Soulsville Europe. Lo ricorderà anche Rick Hutton nel corso della serata. All'insegna del soul del sud, quel Memphis sound che, da oltre trentacinque anni, fa risuonare le valli dell'Appennino tosco-emiliano delle suggestioni di Tennessee e dintorni. Poi, c'è la solita nuvola sopra la piazza principale della cittadina termale: griglie, barbecue e attrezzi vari della cucina di strada sono già in piena funzione da metà pomeriggio. E anche l’odore di salsiccia e di carne alla griglia arriva pressoché ovunque. Per le strade di Porretta, la solita folla entusiasta di giovani e meno giovani, famiglie, anime solitarie, stranieri. E, come lo scorso anno, la bluesmobile, l'auto di quel film leggendario che risponde al titolo di Blues Brothers. Nei panni di un improbabile fratello Blues - Elwood o Jake, non è dato saperlo -, il proprietario del mezzo, anche autista su richiesta per questi quattro giorni, un fisico olandese in forze al CERN di Ginevra. Intorno alle 20, in Rufus Thomas Park è tempo di musica. Ad aprire le danze, una vecchia conoscenza tra i frequentatori abituali del Porretta, il cuore dei Dublin Soul: Conor Brady, chitarrista, ed Eamon Flynn, voce ma, soprattutto, organo e piano. Entrambi già parte del progetto The Commitments, debitamente approfondito dal festival già lo scorso anno e nel giovedì di questa edizione 2025, dal film del 1991, la cui colonna sonora ha venduto qualcosa come 14 milioni di copie. Fin da subito, ad accompagnare i due irlandesi, una consistente quota della house band che sarà protagonista della seconda parte della serata, la Memphis Music Hall of Fame Band. Diretta da Kurt KC Clayton, qui in veste di pianista/tastierista, completano la line-up di questo primo set la sezione fiati, composta dal sax tenore di Alan Clayton, fratello di KC, dalla tromba di Paul McKinney e dal trombone di Victor Sawyer, Dwight Sanders al basso, Carlos Sargent alla batteria, e le ladies of soul from Memphis: Shunta Mosby, Dani McGhee e Candy Fox. Qui, la musica è sempre un espediente, il migliore, per raccontare storie. Che toccano il cinema, passando per la letteratura, il costume e tutto ciò che produce narrazioni. Per questo, a noi, come a molti, piace tanto raccontare Porretta Soul. Il set è un viaggio tra il profondo sud, Memphis e New Orleans in particolare, e l’Irlanda. Quindi, tra una Green Onions, brano storico della Stax Records firmato da Booker T. & MG’s, e una Brickyard Blues di Alen Toussaint, fa bella mostra di sé, come se musicalmente non ci fosse soluzione di continuità, e forse non c’è, una St. Brigid’s Day, in versione irish soul, come dice lo stesso Eamon Flynn. A seguire, la celeberrima Jealous Guy, brano di John Lennon, ma eseguita qui nella versione di Donny Hathaway. Altri pezzi interessanti sono Qualified, di Dr. John, e Tin Pan Alley, di Bob Geddins. È arrivato poi il momento degli ospiti. All’annuncio della presenza di Sandy Carroll, la pioggia si fa più insistente. Originaria del Tennessee, anche lei affermatasi musicalmente a Memphis, Sandy esegue il blues If You Got It, brano di Albert King, da lei reinciso negli anni ‘80, accompagnandosi al piano e con un arrangiamento minimale. È poi il turno di Captain Jack Watson, notato da Graziano Uliani al King Biscuit Blues Festival in Arkansas. Proveniente dal Texas del sud, ha accompagnato il pubblico in un viaggio tra le strade polverose del blues. Tra i pezzi eseguiti, vale la pena ricordare Rock Me Baby. Dopo una pausa per il cambio palco, è la volta della Memphis Music Hall of Fame Band al gran completo. Oltre agli strumentisti già presentati, Garry Goin e Steve Bethany alle chitarre, e Darryl Sanford a organo e tastiere. Si parte con le tre splendide coriste. Wanna Make Me Love Somebody Else delle Jones Girls, singolo del 1979 da milioni di dischi venduti. Poi, il primo ospite: Carlos Strong. Voce acuta e presenza dinamica, nonostante la giovane età, ha già alle spalle esperienze importanti ed è anche un ottimo chitarrista. Da ricordare, una bella versione di Supernatural Thing, canzone portata al successo da Ben E. King nel 1975, e il bis con Push and Pull di Rufus Thomas. Ci siamo. È il momento di ricordare James Carr attraverso la voce di suo figlio, Vincent Carr. Vale la pena ricordare che James si esibì a Porretta nel 1992, una delle sole tre volte fuori dagli Stati Uniti. Tutti gli affezionati di Porretta Soul, in particolare quelli più di vecchia data, ricorderanno una splendida foto in bianco e nero che ritrae Carr nel backstage, mentre ad accendergli una sigaretta c'era nientemeno che Francesco Guccini. Due mondi lontani - in realtà, forse, non troppo - immortalati in una foto di quelle in grado di dare, appunto, il dono dell'immortalità ai suoi protagonisti e di candidarsi ad essere una delle foto simbolo della storia di Porretta Sweet Soul Music. Con voce limpida, visibilmente emozionato, Vincent ci accompagna in questo magnifico viaggio nella musica del padre: Pouring Water on a Drowning Man, I'm a Fool for You, in duetto con Candy Fox. A seguire la canzone che tutti ricordano di James Carr. Registrata nel 1966, Dark End of the Street fu il brano che più di ogni altro mise in evidenza le doti di interprete - seconde a nessuno, secondo chi scrive - di Carr. Bellissimo, a chiudere, il bis Freedom Train, proveniente dalla fase più funk, anno 1977. Ma il finale di serata è stato di quelli indimenticabili. Presentata da Rick Hutton, come la nuova queen of Memphis, Jonté Mayon (la foto è di Fiorenzo Giovannelli), si è presentata sul palco con la sua voce straordinaria, difficilmente classificabile. Tra Janis Joplin, della quale raggiunge le frequenze - emotive, parafrasando Jimmy Page, preferiamo occuparci di emozioni - di pezzi come quella struggente, ineguagliabile Summertime, che registrò, e suonò molte volte dal vivo, coi Big Brother and the Holding Company, e Tina Turner, che ha implicitamente omaggiato con una Proud Mary nello stile della acid queen. Dopo una bella I’ll Take You There delle The Staple Singers, il momento più suggestivo della serata. Di quelli che tra le centinaia di persone di Rufus Thomas Park non vola una mosca: Killing Me Softly. Roberta Flack. Ne parlavamo all’inizio. Perché è stata un’interpretazione catartica, di cuore e tanta, tanta voce. Una meraviglia indescrivibile. Quei momenti per i quali, ogni anno, attendiamo Porretta Soul. Quei momenti che ci fanno sentire ancora vivi. La reazione del pubblico dopo il pezzo è un’esibizione di gratitudine. E Jonté pare emozionata. Ma non è finita. Poteva mancare Aretha Franklin dal repertorio di un’interprete femminile di questo livello di sensibilità e classe? Certamente no. Dunque: Baby, I Love You e A Natural Woman. A seguire il celebre voulez-vous coucher avec moi di Lady Marmalade, portato al successo da Labelle verso la metà degli anni ’70, e poi di nuovo da Christina Aguilera nei primi 2000. Si va verso la conclusione. Jonté augura la buona notte. Ma lo fa annunciando un brano di Gladys Knight. È Neither One of Us. Dopo quel che abbiamo sentito, pare impossibile. Eppure, forse è proprio questa l’interpretazione della Mayon che più ci impressiona ed emoziona. Qual è un sinonimo della parola emozione? Commozione, eccitazione, impressione, ci suggerisce il dizionario dei sinonimi e contrari. Ma niente rende davvero l’idea di quella sensazione inafferrabile, quel lampo, una fiamma che si accende dentro. Emozione rimane il sostantivo che più si avvicina al senso profondo, seppur per approssimazione, di quel che di inesprimibile ieri sera, come molte altre volte in passato - se ne renda merito a Graziano Uliani -, abbiamo provato non una, bensì numerose volte. E lo ripetiamo qui: emozione, emozione, emozione. Sfidiamo le regole del buon italiano, perché in qualche modo dobbiamo pur farci capire. Siamo davvero alla fine. All’immancabile one more time di Rick Hutton. Jonté e tutta la Memphis Hall of Fame rispondono con la Proud Mary di cui dicevamo poc’anzi. Torna sul palco anche Carlos Strong. Poi è il momento delle presentazioni e dei saluti finali. Un arrivederci a domani. Non è tardi per gli standard consueti di Porretta Soul. Ma ce ne andiamo soddisfatti. Perché la musica non è - non può essere - una questione di quantità. Meno che mai qui a Porretta, dove non manca nemmeno la quantità, nell’area dei concerti ed anche fuori. Ma la qualità e l’intensità sono l’essenza profonda di quest’esperienza. Un’esperienza di comunione profonda tra persone - pubblico e artisti - che condividono un amore, e quell’amore lo consumano senza barriere.
